Preparazione precetto pasquale

Il precetto di confessarsi e comunicarsi nella Pasqua, fu fatto, come è noto, nel Concilio Lateranense da papa Innocenzo III nel 1215. La pena dell’interdetto, cioè di non potere più entrare in chiesa, è fulminata in quel decreto contro i trasgressori. Vediamo in qual modo si eseguisce attualmente questo decreto.

Nei quindici giorni della Pasqua, cioè dalla domenica delle Palme alla domenica in Albis, il parroco amministra continuamente, ed in tutte le ore della mattina, la comunione a’ suoi parrocchiani. Mentre il parroco pone in bocca al parrocchiano l’ostia, il sagrestano pone nelle sue mani un biglietto, che si chiama il biglietto pasquale. In questa circostanza si commettono delle frodi: per esempio, vi sono delle pinzochere che vanno a comunicarsi in que’ giorni in diverse parrocchie per avere i biglietti, i quali poi vendono per cinque paoli, a coloro che non soddisfano al precetto, ma che vogliono evitare i gastighi de’ trasgressori. Per evitare una tale frode, alcuni parrochi avevano adottato l’uso di fare in carta colorata i biglietti per le donne, ed in carta bianca quelli degli uomini, ma il cardinal vicario proibì questa distinzione.

Passato il tempo pasquale, il parroco fa di nuovo il giro della parrocchia con lo stato di anime; ritira i biglietti pasquali per riscontrare chi ha soddisfatto. Poi nelle domeniche susseguenti fa le tre ammonizioni canoniche, che consistono in questo. Dopo letto il Vangelo nella messa, si volge al popolo e dice: “Coloro che non hanno soddisfatto al precetto pasquale, si presentino, sotto pena d’incorrere nelle censure.” Il giorno dopo la Pentecoste, ogni parroco manda al tribunale criminale del vicariato la nota di tutti coloro che non hanno soddisfatto al precetto. Ordinariamente in queste note non vi sono che nomi di povera gente; ma se si trova un parroco onesto il quale dia la nota esatta, e metta in essa tutti i trasgressori anche di qualità, allora è il vicariato che cancella que’ nomi, e vi lasci solo i nomi de’ poveri.

Dopo ciò, si fa a consegnare a ciascuno de’ trasgressori per mani del cursore (usciere) una citazione stampata in latino, nella quale s’intima loro di andare al tribunale e dichiarare il perchè non hanno soddisfatto al precetto. Naturalmente que’ poveri ignoranti ai quali è diretta quella citazione, non comprendendola, non ne fanno alcun caso. Se pur qualcuno va a presentarsi al parroco per soddisfare al precetto dopo avere avuta la citazione, il parroco non ha più facoltà di ammetterlo; ma bisogna che il trasgressore faccia una supplica al cardinal vicario, acciò dia al parroco le debite facoltà. Questa specie di durezza indispettisce.

Passati alcuni giorni, il parroco riceve la sentenza d’interdetto in latino, seguita dalla nota nominale di tutti quelli che lo hanno incorso. La sentenza è pubblicata dal parroco, insieme co’ nomi, cognomi e professione di coloro contro cui è fatta; ed immediatamente è fortemente collata alla porta esteriore della chiesa, acciò tutti sieno conosciuti. Il giorno dopo, il cursore rimette a ciascuno di essi copia della sentenza stampata in latino. Il 25 Agosto poi si pubblica la nota generale di tutte le parrocchie, ed un gran quadro si affigge fuori la porta della chiesa di S. Bartolomeo, dove è un gran concorso di popolo.

Due o tre giorni dopo, sono tutti carcerati di nottetempo, e condotti alla così detta guardiola: che è una camera di deposito per coloro che sono imprigionati per ordine del cardinal vicario. La mattina dopo le otto sono condotti alle carceri criminali. Siccome quella processione di carcerati per quel motivo, eccitava la curiosità del popolo e le maldicenze: così negli ultimi anni di Gregorio XVI si conducevano alle carceri privatamente, e senza alcuna pubblicità. Ma il zelantissimo Pio IX, nel 1847 primo anno del suo liberale pontificato, volle si conducessero pubblicamente: ed io con tutta Roma fui testimonio di quell’ingiustificabile atto. Dopo le otto, uscirono dalla guardiola in via degli Uffici del Vicario, incatenati a due a due, circa ottanta di quegl’infelici: la processione era scortata da carabinieri, e così a passo lento furono condotti fino alle carceri in via Giulia, più di un miglio di strada, traversando le vie più popolate di Roma.

Nelle carceri sono tenuti al regime di pane nero ed acqua. Dopo alcuni giorni di carcere, sono condotti da’ carabinieri alla così detta pia casa di Ponterotto, ove restano otto giorni forzati a fare gli esercizi spirituali, alla fine de’ quali si devono confessare e comunicare, ed allora escono liberi. Così s’intende in Roma la religione!